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Beato Giovanni Giuseppe Castañón Fernández Seminarista e martire

7 ottobre

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Moreda, Spagna, 6 agosto 1916 – Oviedo, Spagna, 7 ottobre 1934

Juan José Castañón Fernández nacque a Moreda, nelle Asturie, il 6 agosto 1916. Ancora piccolo rimase orfano di madre. Dopo aver frequentato le elementari al suo paese, divenne allievo dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Caborana. Nel 1928 entrò nel Seminario Minore della diocesi di Oviedo, passando poi al Seminario Maggiore: ottenne sempre delle borse di studio, grazie al suo buon profitto. Era gioioso, pronto al servizio, sinceramente affezionato alla propria vocazione. Il 6 ottobre 1934, durante la rivoluzione delle Asturie, la sede del Seminario Maggiore fu attaccata e i seminaristi dovettero fuggire. Juan José e otto compagni si rifugiarono prima in una stalla, poi nella cantina di un palazzo. Quando uno di loro uscì allo scoperto, venne sorpreso da un gruppo di uomini armati, che ordinarono agli altri di uscire. Vennero fuori in sette: poco dopo, vennero fucilati, ma uno solo scampò perché non aveva la tonsura, quindi non era stato riconosciuto come parte del clero. Juan José era il più giovane: aveva diciott’anni ed era al terzo anno degli studi filosofici. Insieme ai suoi sei compagni e ad altri tre allievi dello stesso Seminario, uccisi negli anni della guerra civile spagnola, è stato beatificato il 9 marzo 2019 presso la cattedrale del Santo Salvatore a Oviedo, sotto il pontificato di papa Francesco. I resti mortali di quasi tutti e nove i martiri sono venerati nella Cappella Maggiore del Seminario di Oviedo, mentre la loro memoria liturgica cade il 6 novembre, giorno in cui tutte le diocesi spagnole ricordano i loro Martiri del XX secolo.



Juan José Castañón Fernández nacque a Moreda, nelle Asturie, il 6 agosto 1916, figlio di José Castañón, minatore, e di Manuela Fernández Díaz. Fu battezzato il giorno dopo la nascita, nella chiesa parrocchiale di San Martino.
Sin da bambino mostrò una carità al di sopra del normale, come anche un’attenzione verso i più poveri, tanto più notevole se si pensa che la sua famiglia non era ricca. Su questo ebbe notevole influsso la vita caritativa della sua parrocchia, dove, sull’esempio di san Martino di Tours, erano state create alcune iniziative per chi fosse nel bisogno.
Rimase orfano di madre ancora piccolissimo, per cui suo padre, per dare una mamma a lui e ai suoi quattro fratelli, si risposò. La seconda moglie gli diede un altro figlio, poi morì anche lei. Dal terzo matrimonio non nacquero figli.
Juanjo, come lo soprannominarono in casa, fu comunque sempre abituato a pregare con i suoi cari. Non solo: spesso celebrava Messa per gioco, a volte insieme ai suoi cugini del vicino paese di Mieres. Anche gli altri bambini del circondario si avvicinavano, incuriositi dal sentirlo pregare in latino e tenere delle piccole prediche sulla vita eterna.
Nei primi anni di vita era grassoccio e di statura bassa, tanto che dimostrava sempre meno anni di quanti ne avesse in realtà. Frequentò le classi elementari nella sua città natale, poi continuò gli studi nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Caborana. Era un bravo studente, serio, intelligente e con ottimi voti.
Don Custodio Álvarez Muñiz, coadiutore della sua parrocchia, gli suggerì di entrare in Seminario; non avrebbe neanche avuto problemi per essere mantenuto agli studi, perché poteva beneficiare di una borsa di studio. Anche don Tomás Suero Covielles, reggente della parrocchia (non era parroco tecnicamente), fu per lui un grande esempio.
Nel 1928, quindi, Juan José entrò nel Seminario Minore della diocesi di Oviedo, situato nel convento di Santa Maria di Valdediós. Come aveva anticipato il suo coadiutore, di fatto ottenne tutti gli anni una borsa di studio e, se la somma non bastava, la sua parrocchia versava la quota mancante.
Per il suo carattere gioioso e semplice era molto popolare tra i compagni, spiccando anche per la devozione alla Vergine Maria e per un profondo anelito alla vita pastorale. Si faceva ben volere per queste ragioni e perché si mostrava disponibile a dare una mano se ci fosse stato bisogno.
L’attaccamento che aveva per la propria vocazione emerge da un episodio particolare. Si racconta infatti che, un giorno, alcuni operai lo videro passare per strada con addosso la veste talare e si presero gioco di lui. Il ragazzo li udì e rispose che avrebbe continuato a studiare da prete anche per loro.
In effetti era molto portato per le materie di studio, specie, quando passò al Seminario Maggiore, per la Filosofia. Nel tempo libero, come altri suoi compagni, giocava a pallone, ma era anche appassionato di cruciverba, che risolveva con una certa abilità e rapidità. In vacanza aiutava i genitori a tagliare l’erba per portarla nel fienile e sfamare il bestiame.
Crescendo, ma anche per via del vitto del Seminario, divenne più magro, ma rimase il più piccolo di statura della sua classe. Non lo visse come un problema, anzi, accettava con gioia di poter rivestire ruoli da bambino nelle recite in Seminario, a Natale o in altre occasioni. Allo stesso modo lasciava che, senza toni dispregiativi, gli dessero nomignoli come Juanjín, Castañín, Castañina, Sapina.
Il 5 ottobre 1934, esplosero scontri a fuoco tra i minatori e la forza pubblica: era l’inizio della rivoluzione delle Asturie. Nei pressi di Moreda don Tomás, che era stato ricercato dai rivoltosi, fu una delle prime vittime: venne catturato e picchiato a morte. Lo stesso giorno anche a Oviedo si produssero i primi tumulti, mentre all’interno del Seminario le lezioni proseguivano come al solito.
All’alba del 6, dopo una notte di scontri, le armi sembrarono tacere. Dopo qualche ora, furono assaltati sia il convento di San Domenico, sede del Seminario Maggiore, sia il Palazzo Vescovile di Oviedo. A quel punto, i seminaristi scapparono, disperdendosi in varie direzioni.
Juan José e altri sette compagni trovarono rifugio prima in una stalla, poi nella cantina di uno stabile sfitto. Con loro c’era un sacerdote domenicano, padre Esteban Sánchez. Trascorsero insonni la notte seguente, pregando e domandandosi quale sarebbe stata la loro sorte. Padre Sánchez li confortò, li benedisse e diede loro l’assoluzione.
Fecero anche un voto: sarebbero andati tutti al santuario della Madonna di Covadonga, se fossero usciti sani e salvi. Per ragioni di sicurezza, molti di essi, ma non tutti, avevano indossato abiti secolari. Quelli che però avevano già ricevuto gli Ordini Minori portavano un segno ancora più chiaro del loro stato: la tonsura.
L’indomani, il 7 ottobre, uno dei giovani, Gonzalo Zurro Fanjul, uscì per accertarsi che la situazione fosse tornata normale e, probabilmente, per cercare da mangiare per sé e per i compagni. Scavalcò un muro, attraversò una stradina e una terrazza, ma mentre stava controllando se proseguire fu sorpreso da alcuni uomini armati.
Poco dopo, ordinarono ai fuggiaschi di uscire: vennero fuori in sette, tranne il seminarista Juan Alonso Pérez, di I Teologia, e il religioso domenicano. Gli armati fecero loro attraversare alcune strade, tra gli insulti dei passanti.
Arrivati in quella che oggi è calle Padre Suárez, tra il civico 23 e il 25, vennero schierati contro un portone. Uno solo dei sette, José González García, fu ferito gravemente, ma al momento di ricevere il colpo di grazia fu risparmiato: una donna accorse e disse di non sparargli in quanto non aveva la tonsura.
Juan José venne fucilato per ultimo. Aveva diciott’anni ed era al terzo anno degli studi filosofici; era il più giovane dei sei seminaristi uccisi. Due anni dopo, nel 1936, fu assassinato allo stesso modo suo zio don Baltasar Rodríguez Fernández, parroco di Santa Maria del Naranco.
I loro resti mortali furono riesumati il 28 ottobre 1934 dalla fossa comune nel cimitero del Salvatore, dov’erano stati sepolti, per ricevere più degna sepoltura. Dal 19 marzo 2013 riposano tutti nella Cappella Maggiore dell’attuale sede del Seminario di Oviedo.
La loro fama di santità, a parte un periodo di oblio, è perdurata negli anni. Fu quindi possibile cercare di avviare la loro causa di beatificazione e canonizzazione, per l’accertamento del martirio in odio alla fede.
Ai sei giovani assassinati nel 1934 furono aggiunti altri tre allievi del Seminario di Oviedo, uccisi in varie circostanze negli anni della guerra civile: Luis Prado Garcia, alunno del secondo anno di Filosofia, il 4 settembre 1936; Sixto Alonso Hevia, di III Filosofia, il 27 maggio 1937; Manuel Olay Colunga, suddiacono, il 22 settembre 1937. Anche i loro resti sono stati traslati nella Cappella Maggiore del Seminario nel 2013, tranne quelli di Manuel, che non sono mai stati trovati.
Il nulla osta per l’avvio della causa, che venne quindi denominata “Ángel Cuartas Cristóbal e otto compagni”, rimonta al 12 maggio 1993. Il processo diocesano, svolto a Oviedo e concluso il 29 novembre 1997, è stato convalidato il 24 febbraio 2012.
Nel 2014 fratel Rodolfo Cosimo Meoli, Postulatore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fu incaricato di seguire la fase romana della causa. È stato quindi possibile completare la “Positio super martyrio”, consegnata nel 2016. Il 21 giugno 2018 si è invece svolto il Congresso dei Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, i cui membri si sono espressi all’unanimità a favore dell’effettivo martirio dei nove seminaristi.
Il 7 novembre 2018, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui Juan José Castañón Fernández e compagni venivano dichiarati martiri.
La loro beatificazione si è svolta il 9 marzo 2019 nella cattedrale del Santo Salvatore a Oviedo, col rito presieduto dal cardinal Becciu come inviato del Santo Padre. La loro memoria liturgica è stata fissata al 6 novembre, giorno in cui tutte le diocesi spagnole ricordano i loro Martiri del XX secolo.


Autore:
Emilia Flocchini

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Aggiunto/modificato il 2019-03-08

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