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Beata Ifigenia di S. Matteo (Francesca Maria Susanna) de Gaillard de la Valdène Martire

7 luglio

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1761 - 1794

Martirologio Romano: A Orange sempre in Francia, beata Ifigenia di San Matteo (Francesca Maria Susanna) de Gaillard de la Valdène, vergine dell’Ordine di San Benedetto e martire durante la rivoluzione francese.


Delle suore rastrellate nella regione della piana del Rodano facevano parte due suore cistercensi, una benedettina, ben sedici Orsoline e tredici Sacramentine. In prigione non smisero di proseguire le pratiche della loro vita conventuale. La prima sacramentina a salire la ghigliottina il 7 luglio, perché non volle venire meno alla sua fedeltà alla Chiesa, fu la B. Ifigenia di San Matteo. Le suore tennero un comportamento eroico eccezionale, testimoniato da quanti sfuggirono al massacro. La causa per la loro beatificazione fu introdotta il 14 giugno 1916 e il loro martirio fu riconosciuto il 19 marzo 1925; la beatificazione delle 32 suore martiri fu celebrata il 10 maggio 1925, da papa Pio XI e la festa celebrativa fissata per tutte al 9 luglio.

La Rivoluzione Francese per stabilire i principi di libertà, fraternità e uguaglianza fece numerose vittime non soltanto tra i nobili, i borghesi e il clero, ma anche tra le religiose, violando così i suoi tanto sbandierati principi. Nel 1794, durante il regno del Terrore, instaurato dai Giacobini capitanati da Massimiliano Robespierre, numerose suore furono condannate alla ghigliottina per avere rifiutato il giuramento di fedeltà alla nazione e quindi in odio alla fede. S. Pio X il 27-5-1906 beatificò le sedici carmelitane di Compiègne; Benedetto XV il 13-6-1920 beatificò le quattro Figlie della Carità di Arras e le undici Orsoline di Valenciennes; Pio XI il 10-5-1925 beatificò 32 suore martirizzate sulla piazza di Orange (Vaucluse) nel 1794.
I rivoluzionari anticlericali giunsero a tante atrocità per gradi: il 26-10-1789 proibirono l'emissione dei voti religiosi; il 2-11-1789 confiscarono i beni ecclesiastici; il 13-2-1790 soppressero gli Ordini e le Congregazioni religiose; il 12-7-1790 votarono la cosiddetta "Costituzione civile del Clero"; il 10-8-1792 dichiararono decaduta la monarchia e imposero agli stipendiati dallo stato il giuramento di fedeltà alla nazione. Nel 1793 la Convenzione Nazionale portò al vertice l'opera dei rivoluzionari imponendo il giuramento di fedeltà alla nazione. Nel 1793 la Convenzione Nazionale portò al vertice l'opera dei rivoluzionari imponendo il giuramento di Libertà - Uguaglianza anche agli ecclesiastici, ai religiosi e ai cittadini. Il Comitato di Salute pubblica oppresse il popolo francese. Difatti con la legge dei sospetti votata il 17-9-1793, potevano essere trascinati davanti ai tribunali straordinari, eretti anche nelle province, i partigiani della monarchia e del regionalismo, i nobili e i preti refrattari e le persone in relazione con essi.
Il 23-4-1794 Stefano Cristoforo Maignet, rappresentante del popolo nel dipartimento di Vaucluse, ottenne l'autorizzazione di erigere a Orange un tribunale perché, senza istruttoria preliminare e senza assistenza dei giurati, giudicasse tutte le persone sospette di Vaucluse e di Bouches-du-Rhòne. Il tribunale rivoluzionario fu installato nell'antica cappella dei Padri di San Giovanni. Cominciò a funzionare il 19-6-1794. Tenne 44 sedute fino al 5 agosto seguente, giudicò 595 persone e ne condannò 332 alla ghigliottina e 116 alla prigione. Tra i condannati a morte ci furono 36 sacerdoti e le nostre 32 beate, colpevoli soltanto di avere voluto restare fedeli alla professione religiosa e alle leggi della Chiesa. Di esse una era benedettina, due cistercensi, tredici Sacramentine o dell'Adorazione Perpetua e sedici Orsoline.
Alla cittadina di Bollène, nel distretto di Orange, spetta la gloria di avere dato i natali a diciassette delle 32 martiri. Allo scoppio della rivoluzione altre religiose si erano rifugiate nei due conventi femminili colà esistenti, uno di Orsoline e l'altro di Sacramentine. Le Orsoline, in numero di 23, si occupavano dell'educazione delle giovani. Nell'ottobre del 1792 in forza del decreto che proibiva gli Ordini e le Congregazioni religiose, queste religiose furono costrette ad uscire dal convento. La superiora affittò per esse una casa in città e ve le sistemò. Anche le Sacramentine, in numero di 30, dovettero abbandonare contemporaneamente il convento. La superiora consegnò alla municipalità un atto, firmato da tutte le religiose, nel quale si dichiarava che ritornavano nel mondo soltanto perché costrette dalla forza. Esse affittarono una casa e vi si stabilirono. Per gl'intrighi della municipalità, la superiora fu costretta a trasferirsi a Pont-Saint-Esprit, dove fu imprigionata, e qualche altra religiosa fu costretta a ritornare in famiglia perché, malgrado i lavori di ago, non riusciva a procacciarsi il necessario alla vita. Il cappellano ogni tanto le visitava segretamente e lasciava il SS. Sacramento in un armadio perché potessero compiere l'adorazione di regola.
Quando la Convenzione prescrisse il giuramento di Libertà-Uguaglianza, la municipalità di Bollène lo richiese a tutte le Orsoline e le Sacramentine, ma esse non ne vollero sapere perché erano convinte di non poterlo prestare. Nel mezzogiorno della Francia tanto i cattolici quanto i rivoluzionari davano a tale giuramento un senso nettamente antireligioso. Difatti nella corrispondenza del tribunale rivoluzionario di Orange si notavano delle frasi come questa: "Le beate hanno dichiarato che non era in potere degli uomini impedire loro di esser religiose". Simili espressioni provano a sufficienza che sono morte per attaccamento alla fede. Tutte le Orsoline e le Sacramentine furono arrestate a Bollène il 22-4-1794 e trasferite il 2 maggio seguente alla prigione La Cure di Orange insieme ad un altro gruppo di religiose che il Comitato aveva rastrellato in diverse città del contado.
Fin dal loro arrivo in prigione, le 55 religiose che vi si trovavano ammassate, fecero vita comune e adottarono uno stesso regolamento, sapendo benissimo che ne sarebbero uscite soltanto per andare alla morte. Una Sacramentina, sfuggita al massacro, così ci descrive quello che facevano durante la giornata: "Alle cinque del mattino cominciavano le loro pratiche di pietà, con un'ora di meditazione, poi recitavano l'ufficio della B. Vergine e le preghiere della Messa. Alle sette prendevano un po' di cibo; alle otto dicevano le Litanie dei Santi, facevano, a voce alta, la confessione delle loro colpe e si disponevano a ricevere con il desiderio il viatico.
Verso le nove aveva luogo l'appello di chi doveva comparire davanti al tribunale. Durante l'udienza, coloro che erano rimaste in prigione stavano in ginocchio, per ottenere luce e forza dallo Spirito Santo per quelle che dovevano rispondere ai giudici. Imploravano quindi il soccorso della SS. Vergine con la recita di mille Ave Maria, alle quali facevano seguire delle Litanie e delle preghiere sulle parole di Gesù in croce. Non si concedevano quasi nessuna ricreazione fino alle ore diciassette, tempo in cui riprendevano l'ufficio della B. V. Maria. Alle diciotto il rullo dei tamburi e le grida di "Viva la Nazione! Viva la Repubblica!" annunciavano la partenza per il patibolo delle condannate a morte. Le suore recitavano allora le preghiere degli agonizzanti e quelle della raccomandazione dell'anima. Osservavano in seguito un profondo silenzio, restando sempre in ginocchio fino a tanto che le loro compagne avevano subito presumibilmente il giudizio. Allora si alzavano in piedi, si felicitavano reciprocamente (soprattutto quelle che erano della stessa comunità) per il fatto che qualcuna di loro era stata ammessa alle nozze dell'Agnello senza macchia, cantavano con gioia il Te Deum, il salmo Laudate Dominum e si esortavano vicendevolmente a morire nello stesso modo il giorno seguente".
La prima ad essere condannata a morte "perché aveva voluto distruggere la Repubblica con il fanatismo e la religione", e ad essere ghigliottinata il 6-7-1794 fu la B. Susanna Agata de Loye, nata a Sérignan il 4-2-1741 e fattasi benedettina nel convento dell'Assunzione di Caderousse con il nome di Suor Maria Rosa. L'ultima fu la B. Elisabetta Teresa Consolin, nata il 6-6-1736 a Courthézon e divenuta superiora delle Orsoline di Sisteron con il nome di Suor del Cuore di Gesù. Tra il presidente e l'imputata si svolse questo dialogo: "Chi sei tu?". "Io sono figlia della Chiesa cattolica". "Vuoi tu prestare il giuramento?". "Giammai! La municipalità me lo ha domandato; io ricusai perché la mia coscienza me lo proibisce". "La legge tè lo impone". "La legge umana non può comandarmi cose contrarie alla legge divina". Sulla copertina del fascicolo riguardante la martire si leggeva: "Teresa Consolin, ex-religiosa, refrattaria al giuramento, incolpata d'essersi mostrata la più ostinata fanatica, ricusando sempre di fare il giuramento, intimato dalla legge, a dispetto delle diverse sollecitazioni a lei fatte dalla municipalità, perché sperava un ritorno all'antico regime che avrebbe trascinato la Repubblica in una guerra civile, il tutto in odio alla rivoluzione , ecc. ecc.", fu condannata alla ghigliottina il 26-7-1794.
Le martiri trascorrevano l'ultima giornata della vita seguendo il medesimo orario. Verso le nove venivano condotte davanti al tribunale. Il presidente le esortava a prestare il giuramento di fedeltà alla repubblica e, al loro rifiuto, egli pronunciava immediatamente la sentenza di morte. Le condannate erano allora condotte al teatro antico chiamato "prigione del circo" dove, durante le poche ore che le separavano dalla morte, pregavano e cercavano di preparare a ben morire le altre condannate poco rassegnate. Esse furono di conforto a tutti con la loro serenità di spirito che faceva esclamare ai gendarmi: "Queste idiote muoiono tutte sorridendo!". Verso le ore diciotto le condannate venivano condotte alla ghigliottina eretta sul corso San Martino.
La prima sacramentina a salire la ghigliottina il 7 luglio perché non volle venire meno alla sua fedeltà alla Chiesa fu la B. Ifigenia di San Matteo, al secolo Maria Gabriella Susanna de Gaillard de Lavaldène, nata a Bollane il 23-9-1761. Tra le intrepide religiose che la seguirono alcune rifulsero per vivacità di spirito e gesti caratteristici. La B. Rosalia Glottide Bès, Sacramentina di Bollène, appena udì la sentenza di morte si volse verso le compagne e disse loro: "E dunque oggi che lo sposo celeste ci ammetterà alle sue nozze, per le quali noi, fino a oggi, non abbiamo fatto che dei sacrifici ben leggeri". Abbracciò le presenti, si cavò di tasca una scatola di confetti e la presentò loro dicendo: "Sono i confetti delle nostre nozze". Mostrando l'anello che portava al dito fin dal giorno della professione religiosa, dichiarò: "Ecco il pegno della promessa che ci venne fatta, e che avrà adesso il suo compimento. Andiamo, sorelle, andiamo insieme allo stesso altare: che il nostro sangue, lavando tutte le nostre infedeltà e mescolandosi a quello della vittima santa, ci apra ben presto i tabernacoli eterni".
Insieme con Suor Rosalia Glottide era comparsa davanti al giudice anche la B. Maria Elisabetta Pelissier, economa delle Sacramentine di Bollène. Condannata a morte, fu condotta nella prigione del circo dove, in attesa della decapitazione, su richiesta dei carcerieri desiderosi di udire la sua voce, cantò l'inno in lode della ghigliottina, che aveva composto in carcere.
Tra la B. Maddalena Teresa Talieu, Sacramentina di Bollène e il giudice, si svolse questo dialogo: ""Chi sei tu?". "Io sono Maddalena Talieu, conversa del convento del SS. Sacramento di Bollène". "Vuoi tu prestare il giuramento?". "No, io non voglio giurare". "Perché?". "Perché questo giuramento è contrario alla mia coscienza". "Ami tu il re?". La martire si alterò e disse a voce alta: "Io amo il mio prossimo, amo il mio prossimo, amo il mio prossimo. Non mi domandate di più perché non saprei rispondervi essendo una povera ignorante".
La B. Maria Cluse, come la precedente conversa Sacramentina di Bollène, era di una bellezza sorprendente. Il carnefice, appena la vide, ne fu talmente soggiogato che le promise di salvarla se avesse consentito a sposarlo. La martire, indignata per una simile proposta, gli rispose: "Fa il tuo mestiere: io voglio assidermi questa sera alla mensa degli angeli". La B. Giovanna Maria de Romillon, Orsolina del convento di Pont-Saint-Esprit, non aveva saputo dissimulare la tristezza il giorno in cui sua sorella, la B. Silvia Agnese, Orsolina del convento di Bollène, fu condotta alla ghigliottina senza di lei. Aveva difatti esclamato: "Ma come, sorella mia, tu vai al martirio senza di me! Che farò io dunque lontana da te?". Il suo sacrificio non fu differito che di due giorni. Appena udì la sentenza di condanna a morte esclamò: "O quale felicità! Ben presto sarò in cielo! Io non posso contenere la gioia che m'invade l'anima". Mentre saliva i gradini del patibolo, avendo inteso che la folla, come al solito, gridava: "Viva la Nazione! Viva la Repubblica!" si voltò e disse: "Sì, viva la Nazione, Viva la Repubblica che mi procura in questo bel giorno la grazia del martirio".
La B. Teresa Enrichetta Faurie, Sacramentina di Bollène, quando seppe che suo padre era stato arrestato perché posto sulla lista dei sospetti, era corsa a Sérignan a consolare la mamma, ma fu arrestata da un agente della municipalità e trascinata ad Grange con altre religiose che erano ritornate in famiglia dopo la chiusura dei loro conventi. Alle sorelle che piangevano, la martire disse: "Non piangete più. Se bisogna saper vivere per Iddio, bisogna anche saper morire per Lui. Addio, pregate per me e consolate nostra madre".
Il 13-7-1794 la beata fu chiamata, alle nove del mattino, davanti al tribunale con altre cinque religiose. Avendo compreso che era giunto il momento del supremo sacrificio esclamò: "Coraggio, sorelle mie, ecco il momento del trionfò!". Il presidente del tribunale le disse: "Andiamo, Enrichetta, presta il giuramento. Sei ancora tanto giovane! Perché voler morire così presto? Presta il giuramento e ritornerai presso tua madre". La martire gli rispose: "Ho fatto giuramento a Dio e non ne presterò altri". Si volse quindi alle sue compagne e disse: "Coraggio, le porte del cielo stanno per aprirsi davanti a noi". Si cavò di tasca una pera, che aveva messo in serbo la sera prima, e la fece in sei parti, una per ciascuna della condannate a morte. Verso sera si avviò al patibolo cantando con le compagne le litanie della Madonna. I detenuti, nelle carceri delle "Dames", si affacciarono alle sbarre delle finestre per vedere sfilare quel corteo che pareva andare a nozze. Ad un tratto, tra di loro, risuonò un grido e un carcerato fu visto cadere a terra svenuto. Era Cesare Faurie che nel drappello aveva scorto sua figlia e ne aveva provato uno schianto al cuore.
Davanti alla ghigliottina una religiosa esclamò con rammarico: "Mio Dio, non abbiamo finito vespro". Le rispose Enrichetta giuliva: "Lo finiremo in paradiso". Nel salire i gradini del patibolo costei scorse tra la folla sua sorella, Maddalena, accorsa in lacrime da Sérignan. La martire le sorrise per l'ultima volta e sollevando gli occhi al cielo sospirò: "Addio, Maddalena, abbraccia nostra madre. Arrivederci lassù dove vado ad aspettarti".
La B. Maria Anna Depeyre, conversa Orsolina del convento di Carpentras, è una delle figure più attraenti delle martiri di Orange. In famiglia si era distinta per una grande devozione a Maria SS. e lo spirito di penitenza. Quando fu costretta a ritornarvi per la soppressione del convento (1792), si fece serva dei malati e dei poveri. Fedele alle pratiche di regola, per recitare l'ufficio e il rosario sceglieva di preferenza le cappelle abbandonate essendo la chiesa parrocchiale affidata a un sacerdote ligio alla Repubblica. Un giorno, mentre con una fedele amica si recava in una cappella dedicata alla Madonna, fu rapita in estasi. Al vederla sollevata un metro da terra con le mani giunte e lo sguardo rivolto al cielo, l'amica emozionata le disse: "Ma, sorella mia, che fate?". Suor Maria Anna, rientrata subito in sé, le rispose: "Non sentite voi le armonie celesti?".
Denunciata come fanatica da esaltati patrioti di Tulette, suo paese natale, la beata fu arrestata dal Comitato di Sorveglianza e rinchiusa con sua nipote in una casa messa sotto sequestro. Nella notte, mentre pregava, in mezzo ad una grande luce le apparve il Signore il quale l'assicurò che, secondo il suo desiderio, l'avrebbe associata ai propri dolori per espiare i delitti degli uomini. Trasferita alla prigione di Grange, per tre mesi si preparò alla morte con una vita esemplare assistendo le compagne nelle loro necessità con una dedizione infaticabile. La vigilia del martirio, al vedere le vittime della giornata incamminarsi al patibolo, esclamò: "O sorelle mie, che bei giorno è quello che si prepara! Domani le porte del cielo s'apriranno davanti a noi e vedremo il nostro Sposo che non abbiamo mai veduto, e andremo a godere della felicità dei santi".
Nella prigione del circo in cui fu rinchiusa dopo la condanna a morte, ebbe la sorpresa di trovarvi anche una fedele amica, da poco arrestata. L'abbracciò, le disse che era felice di rivederla nel momento in cui stava per andarsene al cielo, si staccò il cilicio e la catenella di ferro che portava indosso e glieli diede mormorando: "I miei più preziosi gioielli sono sfuggiti alla rapacità dei giudici. Prendili, tu ne sarai l'erede".
Non tutte le religiose imprigionate a Grange furono condannate a morte. La caduta di Massimiliano Robespierre, artefice del Terrore, ghigliottinato il 28-7-1794, pose fine all'attività della Commissione Popolare di Grange. Un anno dopo i mèmbri di quel tribunale furono condannati a morte. Due di essi, e il pubblico accusatore, vollero ricevere i conforti religiosi da un prete rimasto fedele alla Chiesa, e avviarsi al supplizio recitando il Misere con altre preghiere.
I corpi dei ghigliottinati nel mese di luglio 1794 furono seppelliti alla rinfusa in un campo alla confluenza della Leygues e del Rodano. Nel 1832 sulle fosse che racchiudevano i loro resti fu eretta una piccola cappella. Le trentadue religiose furono uccise tutte in odio alla fede tra il 6 e il 26 luglio del 1794 sulla piazza di Grange.


Autore:
Guido Pettinati

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Aggiunto/modificato il 2011-02-21

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