Home . Onomastico . Emerologico . Patronati . Diz.Nomi . Ricerca . Ultimi . Più visitati



Newsletter
Per ricevere i Santi di oggi
inserisci la tua mail:


E-Mail: [email protected]


> Home > Sezione Testimoni > Giuseppe Mango Condividi su Facebook Twitter

Giuseppe Mango Adolescente

Testimoni

Mugnano, Napoli, 25 ottobre 1988 - 6 agosto 2003

Giuseppe Mango è stato un ragazzo davvero speciale. Una vita breve, segnata dalla malattia e dal dolore, ma interamente donata a Dio e al prossimo.



Giuseppe Mango nasce a Mugnano (Na) il 25 ottobre del 1988,  da Salvatore Mango e Felicia Cicatiello, nella casa di cura “Villa dei Fiori”, con taglio cesareo. Nasce di sette mesi e dieci giorni perché la mamma, titolare di un negozio preso di mira da rapinatori, ha subito un’aggressione pericolosa per la gravidanza.
Secondo i medici la mamma avrebbe dovuto abortire ma la scelta  sarà diversa. Il bambino che nascerà sarà un bel bambino, sano e robusto di Kg 3, 250.
Viene battezzato il giorno 11 dicembre 1988, nella Parrocchia della SS. Annunziata in via Pecchia n. 7, Arzano (Na). Padrino lo zio don Vincenzo Mango.
A diciassette mesi si manifestano delle convulsioni di cui non si comprende la natura. Portato all’ospedale Santo Bono i medici diagnosticano: “convulsioni febbrili”, pur se si ripetono anche senza febbre. La serie di visite presso neurologi pediatri nella città di Napoli porta Giuseppe al Nuovo Policlinico, II Facoltà di Medicina e Chirurgia di Napoli. Qui il dottor Raffaele Iorio, dopo un’accurata visita, decide di sottoporlo ad una EEG (Elettroencefalogramma). Mentre si attende, una crisi violentissima convince un altro medico, il dottor Santoro…., della necessità di un ricovero al reparto di neuropsichiatria infantile del Policlinico, dove viene di fatto ricoverato dopo una terapia stabilizzante.
Comincia così un vero Calvario, fatto di visite e terapie senza esito alcuno ai fini di una diagnosi. Si sottopone ad EEG in data 10 giugno 1991, a due anni di età; il 28 novembre del 1991; il 28 aprile 1992; il 2 dicembre 1992. Il 20 ottobre del 1994 si sottopone ad EEG presso il Centro “HBERGER” S.A.S. , nell’ambulatorio di Neuropsichiatria, a Casoria (Na).  Il dottor Iorio consiglia ai genitori di recarsi al Careggi di Firenze.
Dopo Roma e Siena, Giuseppe viene portato a Firenze, Unità Sanitaria Locale 10/D, Università Degli  dove, da una risonanza, emerge che l’arteria occipitale destra non è sviluppata per cui, sotto stress, la circolazione sanguigna insufficiente provocava le convulsioni. La terapia che si rivela efficace è quella con farmaci antiepilettici pur non trattandosi di epilessia.
Nonostante la serie di visite e permanenze in ospedale, Giuseppe mostra un carattere incline alla gioia. Gli anni trascorsi in ospedale non intaccano la sua allegria e la sua voglia di vivere come attesta il ricordo della dottoressa M. Rosaria Scordo, del Careggi che lo ricorda in una lettera del 9 agosto 2003 (inedita) come “un bambino e un adolescente meraviglioso, nella sua intelligenza vivace, nella sua affettività, nel suo coraggio”. E’ un bambino sereno ed in pace con se stesso e gli altri bambini, suoi amici; ha un bel rapporto con la sorella, Rosa, e ama i giochi della sua età, in cui è un vero organizzatore.
Ha quattro anni quando chiede di andare a Pompei: il giorno della festa della mamma. Dovendo partire il giorno successivo per Firenze, per i controlli necessari, viene accontentato. Con serena consapevolezza comunica alla mamma che la ama tanto perché lo ha messo al mondo, “ma la mia Mammina è lei” indicando il quadro della Madonna del Rosario: così dice alla madre sbigottita e, per ammissione della stessa, indispettita.
Queste visite a Pompei si ripeteranno fino a diventare, per l’intera famiglia, una tappa fissa. Giuseppe, con sensibilità e profondità impensate alla sua età, durante una di queste visite dice alla mamma che quell’immagine, a differenza delle altre che raffigurano una Maria giovanissima, la rappresenta più matura perché lì Ella si mostra nella sua saggezza e amore, lì la maternità universale è nel suo volto, lì Maria è rappresentata come la Mamma di tutti.
  All’età di cinque anni si reca a Firenze per il controllo e le cure. E’ l’ultima  volta della terapia, perché i medici, con stupore e senza riscontrare un dato clinico in grado di fornire una spiegazione, diagnosticheranno che il bambino è guarito e non c’è più bisogno delle cure fino ad allora effettuate. Dagli esami svolti dal 27/5/1997 al 22/3/1999, si attesta l’assenza di episodi critici, come da certificazione medica dell’Ospedale Careggi, emesso in data 22/3/1999 a firma della Dott.ssa F. Petrini e F. Rocco.
La sua presenza lascerà un segno a distanza di anni nei medici del Careggi, come risulta, ancora una volta, dalle parole di Maria Rosaria Scordo che continuerà a ricordare gli occhi vispi e il viso paffuto di quel bambino che aveva tanta voglia di vivere, raccontandone spesso alla sua bambina la storia ed il coraggio per quanto di dolore e sofferenza ha affrontato.
Alle elementari, nella scuola statale, Circolo Didattico di “Arzano”, in piazza Marconi, frequenta la I classe nell’anno 1994-95; la II nell’anno scolastico 1995-96; la III classe nel 1996-97; la IV nel 1997-98; la V nel 1998-99. Conclude il ciclo con valutazione: Ottimo in tutte le discipline. Una delle sue maestre, Pina De Rosa, lo ricorda vispo come ogni bambino ma con una profondità che lo distingueva dagli altri.  L’altra maestra di classe, Rosalba Iodice lo ricorda come un bambino che aveva una marcia in più. Gioioso, anche di ritorno dalle visite al Careggi, raccontando quanto aveva visto e fatto con l’entusiasmo con cui si racconta una gita. Il suo entusiasmo interrogava l’insegnante: come potevano indagini mediche spossanti e faticose, esser vissute con tanta pace? Con tanta serenità? Dolce e paziente, era contento quando gli altri compagni erano contenti; preoccupato di non essere motivo di dispiacere ai compagni, umile, restio a mettersi in mostra se riceveva una lode; condivideva tutto con gli amici di classe. Nell’ultimo anno delle elementari la maestra Rosalba Iodice comprende anche una cosa: per Giuseppe la preghiera è al primo posto. Infatti nei giorni del prolungamento dell’orario, la maestra si reca in chiesa e Giuseppe, anziché giocare con gli amici, la raggiunge, pregano insieme il Rosario oppure restano insieme raccolti dinanzi al tabernacolo. Giuseppe è assorto e concentrato. Confida alla maestra che da grande vuole esser sacerdote.
A 6 anni chiede di frequentare il catechismo. La mamma è stupita anche perché è ancora presto. Il bambino insiste tanto che la mamma lo accontenta. La suora che guida i bambini nella preparazione, è stupita dalle sue riflessioni sulla preghiera, pensa che sia stata la mamma, la quale, però, in quel periodo, non era una praticante assidua.
Il 2 giugno 1996 riceve il Sacramento dell’Eucarestia, nella Parrocchia  “S. Maria Assunta in cielo e Beato P. Ludovico da Casoria” seguito nella preparazione da suor Enrica delle figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore di Arzano.
Alle medie Giuseppe non abbandona l’amicizia con la sua maestra delle elementari e, dopo l’esame di terza media, passa a salutarla e le porta una rosa, annunciandole i suoi progetti, il primo e più importante: diventare sacerdote. Ancora una volta la maestra si trova dinanzi ad un bambino ed un ragazzo, secondo quanto attesta l’insegnante stessa, che suscitava continue domande, continuo stupore per la sua gioia e progettualità.
Nel maggio del 2002, per sua richiesta –si vede strano, il corpo sembra un ricamo di capillari che emergono ben visibili- viene ricoverato al Cardarelli, nel reparto di Pediatria. Le indagini cliniche durano due mesi ma non si riesce a raggiungere una diagnosi. Si teme il ritorno della vecchia malattia.
  Dopo un’infezione ospedaliera che nessuno antibiotico riesce a debellare, uno dei pediatri consiglia una visita ematologica poiché sospetta una leucemia in atto. Su insistenza del pediatra…. a giugno si effettua un puntato sternale –ritenuto non necessario per le analisi già compiute-. La sentenza arriva subito: leucemia linfoblastica acuta.
Un aspetto tra gli altri che contraddistingue questo giovanissimo è l’amore per la Verità, sempre. Ed infatti, al pediatra che cerca di addolcire la diagnosi parlando di una forte anemia , Giuseppe risponde: “Che tipo di leucemia ho? Non mi avreste fatto una puntura sul petto  per un’anemia”.
Il Calvario è durato un anno. Un anno di sofferenza: soprattutto un anno di azione.
Gli indicibili dolori sono vissuti da lui in un silenzio di donazione totale: con discrezione ma con decisione, egli trasforma la sua presenza nel reparto del Cardarelli in un frammento di vita speso per donare speranza. Si impegna ad aiutare chi è ricoverato, sostiene i malati, dimentico di sé, con l’irruenza della sua gioia, con l’apertura continua alla speranza e, sempre, oltre il gioco: la preghiera, per lui momento privilegiato a cui non viene mai meno ed in cui riesce a coinvolgere anche i più restii e increduli.
Tra i momenti della sua breve esistenza quello della preghiera e il servizio all’altare da chierichetto, sono gli unici momenti in cui è di una serietà assoluta e totale.
Nonostante la sua tenera età è la speranza di tanti adulti che vivono il suo stesso Calvario. La Fede autentica, fatta di una tenerezza silenziosa, lo mostra ricolmo di una saggezza che rivela in poche essenziali parole, parole tutte volte all’amore e all’accoglienza: “L’uomo è troppo fiscale –dice spesso-, Dio invece è ricco di misericordia! Guardate Gesù Crocifisso […] le sue braccia sembrano non avere fine per poter abbracciare il mondo”.
Al centro della sua esistenza e dei suoi pensieri sono le “cose di Dio”.
E, in questo Calvario, mai viene meno la gioia, la sua intelligenza vispa e profonda, il gusto per lo scherzo e il gioco.
Non si preoccupa di sé, Giuseppe; si preoccupa degli altri: dall’infermiere, che prova angoscia nel dover assistere un paziente tanto giovane, all’amico che, turbato, va a trovarlo. E’ sempre lui a sciogliere gli impacci, è sempre lui a mettersi da parte. Si lascia accudire con umiltà e in silenzio. Ha una parola scherzosa per l’amico che teme per lui, lo rassicura!
Pronto all’aiuto, al conforto, è supporto di ragazzi del suo stesso reparto invasi dal terrore. Tenace e generoso si  impegna nel trasfigurare il dolore di tutti in gioia e dono, donando a tutti una lezione sconvolgente di vita e di umanità.
Innamorato delle Vergine Maria dalla più tenera età, si è preparato al Viaggio continuando a gioire per quanto la vita gli ha donato: “Dai ogni giorno il meglio di te, vivilo come se fosse l’ultimo” è solito dire.
Alla mamma, che lo invita a chiedere il miracolo della guarigione, risponde che i miracoli servono a quelli che hanno bisogno di toccare, lui, invece, cerca e vuole solo fare la volontà di Dio.
Il 2 agosto del 2003 chiede di essere confermato nella fede davanti a Dio e lo zio, Mons. Vincenzo Mango, gli amministra il sacramento. Come attesta lo stesso Mons. Mango, Giuseppe era già pronto a ricevere il Sacramento per l’intensa direzione spirituale di don Peppino Liccardi, che il giovane ha incontrato, senza lasciarlo mai più, quando ha ricevuto la Prima Comunione.  Per la sua cresima organizza una grande festa nel reparto, per i pazienti e il personale sanitario. Intervengono i suoi amici dell’Azione Cattolica – che conosce da quando, ad 8 anni, vi si iscrive, organizzando ritiri, momenti di preghiera ed iniziative culturali- e gli amici della scuola.
E’ in quest’occasione che affida all’amica di sempre, Clelia, dell’Azione Cattolica, l’organizzazione di una grande festa in chiesa, poiché, dice, tra qualche giorno avrebbe lasciato l’ospedale. Indica i canti e regala una delle sue chitarre e il bonghetto agli amici perché le sue mani tropo gonfie e la sua voce non gli permettono di suonare e cantare. E così con tutto ciò che aveva, ai fratelli ed agli amici, sempre adducendo le mani troppo gonfie.
Alle due del pomeriggio del 6 agosto del 2003 chiede alla mamma di aiutarlo a sedersi nel letto e di chiamare il medico perché vuole tornare a casa. E’ l’ora della ‘sosta infermieri’ e il dottor Ettore Mariano Schiavone, ufficialmente in ferie ma ufficiosamente in reparto tutti i giorni accanto ai suoi malati tutti giovanissimi, rivela alla mamma che Giuseppe sta morendo e deve tornare a casa poiché questa era stata la promessa.
Il dottor Schiavone sbriga tutte le pratiche, mentre la mamma firma le dimissioni contro il parere di alcuni  medici. Arriva anche il padre che al momento non è presente.
Il giorno 5 agosto ha ricevuto, sempre dalle mani dello zio, l’Unzione degli infermi. Lo stesso zio, nei mesi del ricovero è sempre presente e lo segue e guida nella fede perché Giuseppe lo desidera.
In ambulanza Giuseppe continua a recitare l’ Ave Maria mentre il suo viso si illumina ad ogni invocazione; prende tra le sue le mani della mamma e del padre e chiede di recitare insieme il Pater.
Giunto a casa riceve le feste dal suo cane e viene adagiato sul letto. Un’ultima tenerezza verso la mamma: “Mamma, l’armadio”, mentre abbraccia forte il padre e spira. Solo dopo la mamma ha compreso che ha voluto proteggerla dal dolore di vederlo morire.
La notizia si diffonde rapidamente, il parco e la casa si riempiono di persone di ogni età e ceto sociale.
La celebrazione per la morte viene celebrata dallo zio Mons. Vincenzo Mango, con una partecipazione che trasforma la Messa funebre in un inno di ringraziamento al Signore.
“Non è difficile morire e non bisogna avere paura della morte, perché quando veniamo al mondo ci prese in braccio nostra madre e noi ci sentivamo al sicuro, quando moriremo ci prenderà in braccio Papà, le sue braccia sono ancora più  forti e sicure di quelle di nostra madre”: sono parole sue, parole di un adolescente che ha fatto della sua vita un inno all’Amore di Dio.
Il suo desiderio è stato quello di “Tendere la mano a chi è meno fortunato”: per tal motivo lo stesso giorno dei funerali viene proposto dall’altare di dar vita ad un progetto che porti avanti questo desiderio.
Il giorno del trigesimo, come il giorno dei funerali, è veramente una festa e dopo la celebrazione diversi medici che lo hanno tenuto in cura decidono di creare un’associazione per aiutare gli ammalati ed esser vicino a chi soffre. La proposta della mamma è chiamarlo “ospedale amico” ma tutti i futuri soci fondatori si dichiarano “testimoni testamentari” del volere di Giuseppe e decidono di chiamare l’associazione col nome del suo primo fondatore: Giuseppe Mango.
Il 25 ottobre dello stesso anno, data del suo compleanno, il Liceo Giordano Bruno di Arzano con Verbale n. 26, Delibera n. 16, del Consiglio di Istituto del 22 settembre 2003, gli dedica un’aula multimediale perché Giuseppe insisteva sempre che le lingue vanno studiate bene e non solo sui libri, perché il corretto uso della lingua può portare alla pace.
Tra i suoi pensieri giunti a noi, c’è ne è uno che attesta il suo abbandono filiale, origine di pace e serenità: “Quando chiedete qualcosa a Gesù, passate per Sua Madre, a Lei non sa dire di no”.


Autore:
Claudia Picazio

______________________________
Aggiunto/modificato il 2023-10-28

___________________________________________
Translate this page (italian > english) with Google

Album Immagini


Home . Onomastico . Emerologico . Patronati . Diz.Nomi . Ricerca . Ultimi . Più visitati